Cenni storici

sulla Confraternita del Santo Rifugio

a cura di Antonio Varone

 

 

A Sessa Aurunca, città ricca di fermenti religiosi fin dagli albori del Cristianesimo, sede di comunità monastiche di ogni ordine, visitata nei secoli da Santi e da Papi, “cittadella della Fede”, come è stata argutamente definita,* le Confraternite non potevano mancare, ed infatti non mancarono probabilmente già dal Medio Evo e certamente più di quante ne siano sopravvissute.

Quella di Santa Maria del Rifugio, detta fin da allora “dei carcerati”, si impone subito all’attenzione per il fatto di essere praticamente l’ultima a nascere nel centro urbano della Città (le altre successive ebbero vita breve), quando ormai si erano esaurite le spinte riformistiche degli ordini monastici che erano stati all’origine delle molte altre nate nel XVI sec. Ciò non toglie che la metà del Settecento costituisca ancora in Italia, e in particolare in Diocesi, il punto più alto di tale proliferazione. In Sessa la presenza di almeno altre sei Confraternite oltre a Monti di pietà, Cappelle laicali ed ecclesiastiche, ospedali e Conservatori di antica data, avrebbe reso complementare, almeno a lume di logica, qualunque tipo di attività sociale e assistenziale. Invece, come spesso accade, la realtà era ben diversa.

 

Un dispaccio partito da Napoli l’11 febbraio 1758; a firma del Marchese Brancone, reca una prima richiesta di informazioni al Governatore ed al Vescovo di Sessa, in relazione alla supplica di un gruppo di cittadini che vogliono fondare una nuova Confraternita con titolo “del Rifugio”.* Comprensibilmente si chiedeva da Napoli, in via ufficiosa, un parere delle Autorità locali sull’opportunità di fondare una nuova confraternita “... per il sollievo degli infermi e dei carcerati...”. Si cercava di sapere in altre parole se ce ne fossero altre con gli stessi scopi. La risposta decisamente favorevole non deve meravigliare: Sessa nonostante la più stabile situazione politica che, con la fine del Vicereame, vedeva sul trono di Napoli i re della dinastia borbonica, usciva in tristissime condizioni dalle conseguenze delle guerre di successione.

Inoltre il decennio che va dal 1760 al 1770 vide abbattersi sulla Città periodi di siccità, di piogge torrenziali e di epidemie: momenti difficili nei quali la novella Confraternita e le altre si prodigheranno come potranno per alleviare le sofferenze della povera gente. Pertanto la relazione del Governatore, inviata pochi giorni dopo al Re di Napoli tramite il cappellano Maggiore, risulta favorevole e da essa apprendiamo che anche il Vescovo aveva ritenuto necessaria la fondazione di tale novella confraternita “del Rifugio” e che anzi “...mercé la deplorevole miseria di molti infermi e carcerati che sono qui frequenti, non poté fare a meno di lodare la condotta dei ricorrenti...”. E le altre confraternite? Erano in quel tempo probabilmente in difficoltà: “... in Sessa al momento solo quella del S. Rosario somministra ai carcerati mezzo rotolo di pane bianco al giorno di domenica e un rotolo a Pasqua e Natale, niente per gli infermi...”.

Impegno quindi auspicabile quello della nuova Confraternita, ma anche compito difficile, dal momento che essa nasce, per restare per sempre, la più povera di tutte, mancando di ogni proprietà. Per questo i confratelli chiederanno subito anche il permesso di questua che gli verrà concesso però ufficialmente solo il 16 maggio 1761. Intanto, in seguito alla suddetta relazione, il Re in data 18 marzo 1758 comanda che i confratelli richiedenti scrivano le regole del loro statuto e le rimettano per l’approvazione al Cappellano Maggiore. Cosa che essi fanno in breve tempo e il 30 aprile 1759 le inviano a Napoli, accompagnate da una lettera ufficiale di richiesta del Governatore: “...in adempimento impertanto di tali ragguardevoli ordini sono riverentemente a partecipare a V. M. che non esistendo in questa Città altra pia Congrega addetta all’uso sovraddetto, da molti anni in qua, che taluni devoti veggendo le deplorabili miserie degli infermi e dei carcerati cominciarono a questuare per dentro di questa città e quel tanto di limosina lo distribuivano ai menzionati bisognosi e questi siccome cresceano, così si avanzava l’elemosina de benefattori ed il numero dei devoti suddetti fin tanto che questi cresciuti in buon numero risolsero di ricorrere all’innata sovrana clemenza della M.V. per implorare il Regio Beneplacito. La Congrega suddetta altro fondo non tiene se non che la settimanale elemosina e quelle che si ricavano da essa in resto di raccolta, le quali esattamente si registrano e si dispensano ai sopraddetti infermi e carcerati oltre alle spese che occorsero ne i principi di detta Congrega per i suppellettili, dell’altare, sedili, standardo, Crocifisso, lambioni ed altro ed in ogni anno se ne rendono i conti...”.

La Confraternita del Rifugio, il 27 febbraio 1762, nello stesso momento della sua nascita ufficiale, ottiene così, senza particolari difficoltà, quel Regio Assenso, sia sulle Regole che sulla Fondazione, che le altre Confraternite attendevano ancora per legittimare la loro la loro nascita avvenuta, per alcune, ben due secoli prima.

Da quanto sopra appare evidente che in data 1758, la Confraternita era ormai operante già da vario tempo e ciò trova riscontro anche nella datazione di un dipinto su tela di proprietà della Confraternita stessa, attualmente ancora di facile lettura in molti particolari, esposto fino a poco tempo fa nella Cappella Cimiteriale, dove evidentemente fu trasferito quando essa fu eretta. Tale tela, una donazione fatta alla Vergine o alla Chiesa, in basso nell’angolo sinistro, oltre al nome del donatore G. Frezza, riporta appunto la data del 1758. In tale anno la Confraternita viene rappresentata già in tutti i suoi elementi peculiari: al centro appare la Vergine col Bambino nei tradizionali colori rosa e celeste, rivolta a un confratello orante con il cappuccio alzato, con una mantellina verde su un sacco bianco (i colori della Confraternita ancora oggi). Dall’altro lato, rappresentato chiaramente dietro le sbarre, un carcerato in preghiera a testimonianza di un’attività caritativa ben specifica. Particolare attenzione merita la figura di S. Antonio da Padova ai piedi della Vergine, presenza di difficile collocazione nell’insieme solo fino a quando non si ipotizza, con buone probabilità di essere nel vero, che ancora una volta dietro una confraternita ci sia la presenza del monachesimo ed in particolare quello francescano. Logica appare invece la raffigurazione di un altro santo e cioè di San Benedetto che è da porsi in relazione al fatto che la Confraternita, per i primi anni, trova ospitalità proprio nell’antica chiesa a lui intitolata, in origine affidata ai Benedettini e poi passata in proprietà della Curia.

Prima sede della Confraternita è stata dunque questa antica Chiesetta di San Benedetto raffigurata in piccolo, nell’angolo inferiore a sinistra della tela sopracitata, raffigurazione di comprensibile interesse anche in relazione alla situazione urbanistica del tempo. Comunque la permanenza della Confraternita in questa chiesa appare limitata a pochi anni, visto che essa ben presto si trasferirà, per motivi poco noti (il De Masi accenna a contrasti con il parroco) nella vicina e antichissima chiesa di San Matteo ( già citata nel Cronicon Suessanum del 1258)per anni parrocchia, ma in quel tempo sotto la giurisdizione del Capitolo e in condizioni di completo abbandono. La cura delle anime infatti e la rendita annua di tale chiesa, erano state trasferite a quella più vicina e più comoda di San Giovanni ad Plateam (a Piazza), già dal 13 giugno 1607 dal Vescovo Fausto Rebalio che ne aveva constatata sia la poca spaziosità che le non buone condizioni generali. Il 9 agosto 1760, dopo un decreto di assenso del Vescovo Mons. Granata, come si rileva da un regolare istrumento a firma del Notaio Fabrizio Francillo, il Capitolo Cattedrale cedette la suddetta chiesa di San Matteo alla Confraternita del Rifugio, naturalmente senza rendite e col “peso” tra l’altro del rifacimento e della successiva manutenzione del fabbricato, oltre ad altri obblighi e clausole di non lieve entità, ma che certamente non impedirono ai confratelli di rimboccarsi le maniche sia per ridare decoro a quella che da allora in poi sarà la loro chiesa, sia per meglio continuare nella lodevole attività assistenziale già intrapresa.

Mancando una documentazione successiva, anche e soprattutto a livello locale, si può solo ipotizzare quale possa essere stata la vita della confraternita negli anni seguenti.

Il discorso analogico con le altre in questo caso non può essere di aiuto: la specificità del campo prescelto per l’attività assistenziale e caritativa, la particolarità del culto devozionale, ma soprattutto la stessa data di fondazione che la porta ad essere, fino a quel momento, la più giovane, sono tutti motivi che inducono a ritenere il cammino della Confraternita del Rifugio, almeno per i primi decenni, certamente diverso da quello delle altre sulle quali già agisce il peso dei secoli e delle varie vicende umane che fanno la storia di una città. Se si volesse però fermare in una sola immagine o concretizzare in un solo aspetto quella che è stata prevalentemente l’esistenza della Confraternita del Rifugio, fin quasi ai giorni nostri, non avremmo dubbi nell’indicarlo in quel suo fiducioso “darsi da fare” nelle perenni ristrettezze economiche .

Le poche notizie reperibili su di essa rivelano chiaramente difficoltà ben note anche alle altre, ma che in questa appaiono perennemente presenti: a più di un secolo dalla sua nascita essa appare ancora l’unica, addirittura nell’ambito provinciale, a non avere rendite di nessun tipo. Ciò è spiegabile soprattutto col fatto che il periodo dei lasciti, delle donazioni e dei legati che altre Confraternite o Opere Pie hanno ben conosciuto, è finito da tempo per tutte, non solo per la diversa spiritualità religiosa, ma anche per una normativa giuridica abbastanza limitativa in questo senso. Tale precarietà economica, comunque, aggiunta alla particolare estrazione sociale dei confratelli tutti provenienti da ceti meno abbienti non impediva, ma certamente favoriva l’approccio con i problemi e le esigenze, spesso con i bisogni più elementari, di quelle frange sociali meno tutelate nei loro diritti, in tempi decisamente non facili per nessuno. Eppure non sono mai venuti meno un dignitoso impegno e la serietà nel rispetto degli accordi sottoscritti, soprattutto nella cura e nella conservazione della Chiesa. Infatti non c’è stato Vescovo nei tempi successivi che abbia mancato di sottolinearne, nelle periodiche “visite pastorali”, la situazione di regolarità negli obblighi amministrativi e di culto, nel decoro e nella tutela degli arredi. Cosa non trascurabile se si apprende che nelle stesse visite non sempre le altre confraternite potevano vantare la stessa cosa pur non dimenticando che su queste ultime si avverte il peso di oneri assunti molto tempo prima e in misura spesso notevolmente maggiore. 

Intanto si possono immaginare quali possano essere stati i rapporti con le altre Confraternite, soprattutto con quelle più rappresentative e blasonate della città, la cui rilevanza sociale, ma anche economica, si avvertì per secoli nel tessuto cittadino.

La nuova Confraternita non poté, per fare un esempio, non essere condizionata in un modo o nell’altro dalla stessa ubicazione della sua chiesa, posta proprio di fronte al Seggio dei Nobili detto appunto “di San Matteo”. E per capire quanto quel luogo fosse al centro di dispute e controversie per tutto il sec. XVIII tra i vari ceti sociali, fino alla sua abolizione avvenuta nel 1800, basta leggere le cronache degli storici locali antichi e recenti.

Per essere sorta in epoca borbonica, quella del Rifugio era già pienamente legittimata dall’autorità del tempo e si era trovata, involontariamente, a scavalcare le altre, ancora in attesa di riconoscimento giuridico, con un diritto di decananza ineccepibile. 

La prima conseguenza era appunto quella che in ogni pubblica funzione o processione le sarebbe spettato il primo posto, cioè la “precedenza”, su tutte le altre. Quale potesse essere l’effetto sull’ambiente sociale e confraternale si può facilmente immaginare. Non saranno mancate immediate dispute, ma la prima di cui si ha ufficialmente notizia è quella relativa ad un esposto presentato nel 1787, alla Regia Camera, dall’Arciconfraternita del S. Rosario che per statuto e tradizione accoglieva solo elementi di provata nobiltà. La suddetta Confraternita si appellava al fatto che anch’essa, a differenza delle rimanenti, aveva ottenuto il Regio Assenso sulle Regole e sulla Fondazione. Dall’esame dei carteggi però, effettuato dal Governatore di Sessa, in quell’epoca Lorenzo Brizio, pur risultando vera tale affermazione, appariva altrettanto evidente il fatto che tale assenso era stato concesso solo il 18 settembre 1776, cioè ben quattordici anni dopo quello concesso al Rifugio. Pertanto, sia per puntualizzare che per evitare il prolungarsi del contenzioso, il Governatore, informata la Reale Giurisdizione, si esprimeva in questi termini: “... e quindi da oggi innanzi, in qualunque pubblica funzione di processione o altro debba avere il primo luogo di precedenza la detta Congrega del Rifugio, il secondo luogo quella del S. Rosario, il terzo luogo quella di San Carlo ed in ultimo luogo quella della Misericordia. Così dunque eseguirete e farete eseguire se hanno cara la grazia regia e sotto pena di ducati duecento per ciascuno contravventore...”.

Il tono abbastanza deciso dell’ordinanza e le prospettate sanzioni pecuniarie per eventuali inadempienze, avranno senz’altro sopita ma non smorzata del tutto la questione visto che la stessa era destinata ad avere, appena due anni dopo, un esito imprevedibile. Come apprendiamo dallo stesso documento, in seguito, la Confraternita del Rifugio cedeva spontaneamente a quella del Rosario quel diritto tanto contestato, con la stipula di un vero e proprio atto notarile.

 Esso fu redatto in Sessa l’11 aprile 1789 “…hora vero decima sexta iam pulsata…”dal notaio Bettirai alla presenza del Magnifico Cristoforo Conte in qualità di Regio Giudice, testimoni il Sig. Don Scipione Cornelio (Vicario) e il Canonico Gioacchino de Nami. In rappresentanza della Reale Arciconfraternita del S. Rosario sono presenti Don Gaetano Monarca (Priore) e Don Salvatore Cresci (Assistente); per quella del S. Rifugio: Pascale della Gatta, Andrea Tommasino e Gaetano Pastena. Si tratta in pratica di una solenne convenzione da valere “da oggi in avanti ed in perpetuum...” con la quale la Confraternita del Rifugio “... non per forza o dolo alcuno...” ma riflettendo che “…sarebbe stato atto di lodevole umiltà…cede la precedenza, come si è detto, a quella del S. Rosario e  questa si assume per iscritto l’onere perpetuo di difendere in giudizio quella del Rifugio in eventuali controversie con le altre Confraternite della Città. È possibile che a spingere il Santo Rifugio a tale decisione sia stato non tanto la convinzione di compiere un “lodevole atto di umiltà” quanto il timore di affrontare lungaggini ed eventuali controversie giudiziarie, insostenibili per le esigue risorse finanziarie dei confratelli. Non fu la prima, né sarà l’ultima volta che la precarietà economica finisce col condizionare la vita di questa Confraternita. Oltre a frequenti deliberazioni in cui si stabiliscono esenzioni dal pagamento dell’obolo annuale per confratelli vecchi e ammalati, capita più di una volta di trovarne altre abbastanza indicative dello stato momentaneo di povertà o comunque di difficoltà finanziarie.

Sacrifici per tutti, per i vivi ed anche per i defunti: per due anni infatti vengono sospesi i suffragi a favore dei fratelli deceduti, l’Amministrazione però, con ammirabile senso di giustizia, decide di prendere nota di quelli che sarebbero morti in quel periodo, in attesa di poter celebrare a loro suffragio in tempi migliori le cinque messe previste dallo statuto interno.